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  1. IL MOMA DI NEW YORK, IL PIÙ GRANDE MUSEO DARTE MODERNA DEL MONDO
    DAL WEB

    By marcel53 il 20 Feb. 2014
     
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    Il MoMA (Museum of Modern Art) di New York, con una collezione permanente di oltre 150.000 opere, è la più grande e la più nota istituzione museale d’arte moderna del mondo: fortemente voluto dalla famiglia Rockefeller, inaugurato nel novembre del 1929, il museo, dopo alcune soste in sedi provvisorie, è approdato definitivamente nella sua ultima sede ufficiale, l’edificio progettato nel 1939 da Philip Godwin ed Edward Durrel Stone secondo l’allora imperante “International Style”.

    Ristrutturato nel 2004 dal giapponese Yoshio Taniguchi, vincitore del concorso davanti a molti concorrenti di primissimo ordine quali Bernard Tschumi e Rem Koolhaas, grazie ad un investimento di 858 milioni di dollari il nuovo MoMA raggiunge una superficie espositiva di 12.000 metri quadrati, annoverando dipinti dei più prestigiosi artisti del ‘900, Boccioni, Dalì, Cezanne, Chagall, Degas, Monet, Picasso, Pollock, Van Gogh, Kandinskij, di cui più di 70.000 catalogati con schede personali, oltre a sculture, disegni, fotografie, 300.000 libri e periodici, un tesoro artistico ineguagliabile nel cuore della Midtown Manhattan, sulla 53° strada, tra la Quinta e la Sesta Avenue.

    Taniguchi riprogetta il museo come uno spazio polivalente e flessibile, punto di snodo delle molteplicità delle relazioni in una società globale multietnica, mediatore culturale tra funzioni eterogenee e significati diversi, non solo urbanistici e architettonici, ma anche sociali e civili. Accantonato il concetto del museo-contenitore, del museo-mausoleo affidatario di una cultura autoreferenziale e codificata ufficialmente autorizzato a collezionare-conservare-esporre, a gestire e dispensare i saperi attraverso reliquari archivistici e depositi istituzionalizzati, il museo di Taniguchi si riconfigura come ‘public architecture’, strumento di incentivazione e mediazione della genesi di aggregazione comunitaria in grado di svolgere un ruolo attivo nelle dinamiche culturali e sociali del luogo in cui si colloca. Con questa operazione, il MoMA si mette in linea con i più moderni criteri organizzativi della museologia contemporanea, dove “si registra uno spostamento dell’interesse dalle funzioni tradizionali del museo verso una considerazione teorica della museologia, intesa come scienza umanistica e sociale, appartenente al settore degli studi culturali e della teoria critica.” (“La nuova identità antropocentrica dello spazio museale”, Efthalia Rentetzi, 2009).

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    La ristrutturazione di Taniguchi prevedeva la possibilità di smaltire l’impatto di due milioni di visitatori all’anno, cifra ben presto superata ed attestatasi a tre milioni, ciò che ha messo rapidamente in crisi la funzionalità della struttura. Dello scorso gennaio, quindi, la presentazione del progetto di una seconda ristrutturazione e relativo ampliamento, a finanziamento prevalentemente privato, da completarsi entro il 2019, affidati allo studio d’architettura newyorkese Diller Scofidio + Renfro: con la nuova ristrutturazione il museo acquisirà in totale altri 9.400 metri quadrati e verrà dotato di nuove gallerie espositive, una Gray Box destinata alle performance, una Art Bay con pareti in vetro semoventi, una nuova biglietteria sotterranea di dimensioni adeguate all’affluenza degli utenti.

    È sorta una vivace polemica sulla decisione dei progettisti di demolire il contiguo American Folk Museum, realizzato nel 2001 dallo studio Tod Williams Billie Tsien Architects e costato 32 milioni di dollari, piccolo edificio di raffinata fattura architettonica acquisito dal MOMA proprio in vista di un possibile inglobamento per aumentare la propria superficie calpestabile. Evidentemente, in sede di scelte progettuali, si è deciso di demolirlo per lasciar posto all’Art Bay destinata a eventi ‘live’ e rappresentazioni teatrali, senza esitazione né rimpianto in una città che, nel mondo, è quella che più demolisce, ricostruisce, amplia e rinnova il proprio patrimonio edilizio ed urbanistico, sempre all’inseguimento del futuro.

    Nel progetto è prevista anche la costruzione di una torre residenziale entro la quale, per i tre piani più bassi, si insinua la struttura museale, sottolineando la possibile convivenza tra funzioni complementari integrabili e compatibili.

    Lo spazio aggiunto accoglierà le collezioni di disegni contemporanei, Fluxus, l’arte concettuale, gli archivi di Frank Lloyd Wright, oltre ad opere di artisti quali Marcel Broodthaers, Lygia Clark, Steve McQueen, Robert Rauschenberg, Gerhard Richter, Mira Schendel, Richard Serra, Sophie Taeuber-Arp e Cy Twombly.

    I più vistosi miglioramenti che la ristrutturazione promette di attuare sono: accesso allo spazio museale direttamente dal livello strada e ingresso gratuito a tutto il piano terra compreso il ‘The Abby Aldrich Rockefeller Sculpture Garden’ per abbattere ogni barriera fisica e psicologica tra spazio dell’arte e spazio della vita, 30% di superficie espositiva in più, acquisizione di nuove opere e riorganizzazione del corpus della collezione, distribuzione spaziale più efficiente e capiente per evitare code e tempi d’attesa eccessivi.

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    Dal canto loro, i progettisti promettono di aggiornare la comunità in tempo reale sull’andamento di un work in progress destinato a cambiare il cuore di Manhattan.

    È prevedibile che una presenza di tale impatto ambientale nel centro di un tessuto urbano tra i più antropizzati del mondo contribuirà marcatamente a ridefinire i parametri spaziali, edilizi, urbanistici, economici, sociali dell’intera città, coinvolgendo un vasto ambito di pertinenze umane (residenza, terziario, tempo libero, commercio, infrastrutture ecc.).

    E il segno dell’uomo, ancora una volta, inciderà la storia del tempo nella pietra, nel cemento, nel legno, nel ferro dell’architettura, “l’architettura è il gran libro dell’umanità… per seimila anni, dalla più remota pagoda dell’lndostan fino alla cattedrale di Colonia, è stata la grande scrittura dell’umanità, e ciò è talmente vero che non solo ogni simbolo ma anche ogni pensiero umano ha la sua pagina in questo immenso libro di monumenti” (Victor Hugo).

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