Noi con Voi

  1. LA LEGGENDA DEL VISCHIO

    By mameli11 il 9 Dec. 2013
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    Tante leggende e tradizioni natalizie sono legate a questo arbusto..
    Il suo nome latino è Viscum album, ed è una pianta cespugliosa che cresce soprattutto in inverno alle pendici di pioppi, querce e tigli.
    Al vischio sono riconducibili leggende e tradizioni molto antiche: i celti, ad esempio, lo chiamavano oloaiacet e lo consideravano, insieme alla quercia, una pianta sacra e dono degli dei; secondo una leggenda nordica, invece, teneva lontane disgrazie e malattie...


    Ma la tradizione più importante legata a questa pianta è quella natalizia.
    L'usanza di appendere all'uscio di casa un rametto di vischio, si perde nelle lontane terre del nord Europa, popolate dai celti e dai mitici sacerdoti druidi.
    Questi, vi associavano prima di tutto una forza magica, in grado di far deporre le armi ai nemici che si fossero incontrati in sua prossimità e, proprio per tale ragione, il vischio è oggi augurio di serenità e pace, ed appenderlo alla porta di casa regalerà armonia a tutti i suoi abitanti. Inoltre, le antiche popolazioni nordeuropee vi attribuivano importanti doti curative e, tutt'oggi, i contadini che lo trovano tra i rami dei propmeli, dei peri, dei susini, dei mandorli, dei pioppi, degli aceri e ovviamente degli abeti, lo considerano un dono da proteggere contro mani avide ed inopportune.
    Leggende appartenenti alle popolazioni più disparate (non solo inglesi e scandinave ma anche australiane, africane e giapponesi), attribuiscono al vischio speciali virtù fecondative. In particolare, questo valore sacro è rimasto nel folklore delle popolazioni del nord dell'Europa ed è legato al periodo del solstizio d'estate (San Giovanni), e d'inverno (Natale).
    La leggenda del vischio trae le sue origini proprio da queste terre e dalla dea anglosassone Freya (o Frigga), sposa del dio Odino e protettrice dell’amore e degli innamorati. La leggenda narra che Freya aveva due figli, Balder e Loki, il primo buono e dolce, il secondo ovviamente cattivo, invidioso e soprattutto dispettoso nei confronti del fratello.
    Venuta a conoscenza di ciò Freya cercò di proteggere Balder e chiese a Fuoco, Acqua, Terra, Aria e a tutti gli animali e le piante di giurare la loro protezione per l’incolumità del figlio e ottenne la loro protezione. Ma l’astuto Loki però scoprì che la madre non si era rivolta ad unpianta, che non viveva né sopra né sotto terra: il vischio. Intrecciando i rami di questa pianta fece così un dardo appuntito, lo diede al dio cieco dell’inverno, che lo tirò dal suo arco e colpì Balder, il quale morì sul colpo.
    Freya, rassegnata e disperata, pianse tutto il suo dolore sul corpo del figlio e le sue lacrime a contatto con il dardo di vischio, diventarono le bacche perlate della pianta e Balder magicamente riprese vita. Così Freya, colma di felicità, ringraziò...

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    Last Post by mameli11 il 9 Dec. 2013
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  2. LA NASCITA DELL'UNIVERSO

    By mameli11 il 9 Dec. 2013
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    Il Ginnungagap, l'abisso degli abissi, baratro gigantesco paragonabile al nulla caotico dove misteriose energie e incontrollati fermenti si agitano in questo affascinante e desolante paesaggio primordiale per dare vita all'universo. Il termine Ginnungagap ha due differenti possibili significati: uno potrebbe essere un accostamento con il termine "géna" ovvero "baratro spalancato" che si accosterebbe bene visto che di un baratro realmente si tratta, l'altro termine è invece "ginn" che significa "magia", questo potrebbe alludere a una visione del Ginnungagap come fenomeno di natura magica. Non è comunque improbabile che entrambi i termini siano alla base del significato della parola che assumerebbe così il significato di "voragine magica".



    A nord del Ginnungagap, si estende il "Niflheim" la "casa della nebbia", la regione dei ghiacci eterni, dominata dal gelo e da una nebbia fittissima. Al centro del Niflheim si trova un gigantesco pozzo, l'"Hvergelmir" che significa "caldaia tonante", in questo pozzo si trovano enormi masse d'acqua che raggiungono temperature molto alte, bollendo e rimbombando paurosamente senza sosta. Da questo pozzo nascono tutti i fiumi del mondo. Nello "Elivagar" "flutti tempestosi", si infrangono delle enormi onde ghiacciate portatrici di una malefica spuma, che condensandosi, ricopre tutto il ginnungagap di una spessa coltre di ghiaccio. Al sud del mondo si trova il "Muspellheim" "la casa dei distruttori del mondo" da dove arriva il calore provocato da altissime fiamme che lo divorano incessantemente. In questa regione regna incontrastata la forza primordiale e terrificante del fuoco selvaggio, non ancora addomesticato dalla civiltà.

    E qui dunque, in questo luogo inospitale di gelo e fuoco dove nella notte dei tempi si svolgeranno gli avvenimenti che porteranno alla nascita dell'universo e delle divinità nordiche.








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  3. LEGGENDA DELL'ARABA FENICE

    By mameli11 il 28 Nov. 2013
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    La fenice, spesso nota anche con l'epiteto di Araba fenice, è un uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu, che poi nelle leggende greche divenne la fenice. In Egitto era solitamente raffigurata con la corona Atef o con l'emblema del disco solare. Contrariamente alle "fenici" di altre civiltà quella egizia non era raffigurata come simile né ad un rapace, né ad un uccello tropicale dai variopinti colori, ma era inizialmente simile ad un passero (prime dinastie) o ad un airone cenerino, inoltre non risorgeva dalle fiamme ma dalle acque.
    Nei miti greci (ma non solo) era un uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color d'oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe, due lunghe piume — una rosa ed una azzurra — che le scivolano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo) e tre lunghe piume che pendono dalla coda piumata — una rosea, una azzurra e una color rosso-fuoco —.




    SI DICE ANCHE CHE:
    L'araba fenice è divenuto il simbolo della morte e risurrezione, si dice infatti "come l'araba fenice che risorge dalle proprie ceneri". Dopo aver vissuto per 500 anni, la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma.
    Qui accatastava le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo — grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme.
    Per via della cannella e della mirra che bruciano, la morte di una fenice è spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva (o un uovo), che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni, dopodiché la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Eliopoli e si posava sopra l'albero sacro, per altro si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita (il Suono divino, la Musica) che animò il dio.
    Ma nella antica tradizione riportata da Erodoto, la fenice risorge ogni 500 anni, come riportato da Cheremone, filosofo stoico iniziato ai misteri egizi o da Orapollo vissuto sotto Zenone. La fenice è una delle manifestazioni del sole come interpretato da Sbordone che riporta una grafia tarda d...

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    Last Post by mameli11 il 28 Nov. 2013
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  4. EDIPO DAL WEB

    By marcel53 il 27 Nov. 2013
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    Mitico figlio di Laio, re di Tebe e di Giocasta, ebbe un destino segnato ancor prima della nascita: i suoi genitori consultarono l'oracolo, il quale predisse che il nascituro avrebbe ucciso suo padre. Appena nato, fu esposto; salvato da un pastore, fu consegnato al re Polibo, che lo allevò come un guerriero. Divenuto adulto, Edipo decise di mettersi in viaggio e, per una strana ventura, incontrò Laio ad un bivio. Laio ordinò ad Edipo di lasciarlo passare, ma questi si rifiutò. Nacque una disputa ed Edipo, infuriato, lo uccise. Proseguì il viaggio e giunse a Tebe, dove incontrò la Sfinge, metà leone e metà donna, apppollaiata su una roccia, un mostro che poneva enigmi impossibili ai passanti e divorava coloro che non sapevano risolverli: Qual è l'animale che la mattina cammina con quattro gambe, a mezzoggiorno con due e la sera con tre?
    Edipo rispose correttamente che si trattava dell'uomo. Il mostro precipitò dall'alto della roccia e morì. I tebani, liberati dal pericolo della Sfinge, portarono Edipo in trionfo nella città e gli diedero in sposa la regina. Senza saperlo, Edipo aveva davvero ucciso il padre e sposato la madre.
    Successivamente la peste colpì la città; i tebani consultarono l'oracolo, il quale sentenziò che il morbo sarebbe stato vinto solo se l'uccisore di Laio fosse stato allontanato dalla città. Edipo e Giocasta scoprirono il tragico rapporto di parentela che li univa. Per la vergogna Giocasta si uccise ed Edipo si accecò.
    Questo mito ha profondamente influenzato letterati e studiosi di ogni tempo

    Last Post by marcel53 il 27 Nov. 2013
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  5. ARETUSA

    By mameli11 il 19 Nov. 2013
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    Aretusa,
    figlia di Nereo e di Doride, amica della dea Diana, fu trasformata da quest’ultima in una fonte di acqua dolce che sgorga lungo la riva bagnata dalle acque del porto grande di Siracusa.


    In realtà, Alfeo era un piccolo fiume della Grecia che effettua un breve tragitto in superficie per poi scomparire sotto terra.

    Quando i Greci trovarono la piccola sorgente nei pressi della fonte di Aretusa, trovarono la spiegazione fantasiosa alla scomparsa del fiume Alfeo in Grecia, che sarebbe riapparso in superficie in Sicilia.
    Il dio Alfeo, figlio del dio Oceano, si innamorò di lei spiandola mentre faceva il bagno nuda.
    Aretusa però fuggì dalle sue attenzioni, scampando sull'isola di Ortigia, a Siracusa, dove la dea Artemide la tramutò in una fonte.
    Zeus, commosso dal dolore di Alfeo, lo mutò in fiume a sua volta, permettendogli così, dal Peloponneso, in Grecia, di percorrere tutto il Mar Ionio per unirsi all'amata fonte.
    Ancora oggi il mito rivive nell'isola di Ortigia grazie alla cosiddetta Fonte Aretusa, uno specchio di acqua che sfocia nel Porto Grande di Siracusa.La metamorfosi fu attuata per sottrarre la timida ninfa alla corte del dio Alfeo. Costui, però, è la divinità fluviale, quindi scorrendo sotto le acque del mare Egeo, arriva in prossimità della fonte nella quale era stata trasformata la sua amata per consentire alle sue acque di raggiungere quelle della fonte stessa e quindi mescolarsi con loro.




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    Last Post by mameli11 il 19 Nov. 2013
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  6. Il drago di Logwitton

    By mameli11 il 17 Nov. 2013
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    dragoMonicaarmino




    In un bosco non lontano dal villaggio di Longwitton c’erano tre pozzi molto famosi. La gente veniva da lontano per bere la loro acqua, che aveva anche proprietà curative: molti pastori, che passavano l’inverno in montagna con le loro greggi, venivano a berla per trovare sollievo dai loro acciacchi, e le madri la davano ai loro bambini quando erano malati.
    Un brutto giorno però un contadino trovò vicino ai pozzi un drago enorme che aveva arrotolato la coda attorno a un albero e, con la testa infilata nel pozzo, lappava l’acqua come un cane. Quando il drago si accorse che un uomo si avvicinava, scomparve, ma il contadino capì che era solo diventato invisibile perché sentiva il rumore di foglie secche calpestate e avvertiva il soffio caldo del suo fiato. Perciò scappò via terrorizzato e da quel giorno nessuno osò più recarsi a bere l’acqua dei pozzi infestati dal drago.
    Era un mostro spaventoso, con la pelle ruvida come quella di un rospo, la schiena ricoperta di aculei e una lunga coda. Quando camminava le sue zampacce strappavano zolle di terra e la pelle portava via la corteccia agli alberi. Ben pochi però riuscivano a vederlo perché appena qualcuno si avvicinava diventava invisibile.
    Il drago se ne stava tranquillo nel bosco e a bere l’acqua dei pozzi, ma se gli uomini di Longwitton cercavano di attaccarlo si infuriava e scuoteva gli alberi in maniera spaventosa.
    Il problema era che il drago considerava i pozzi di sua proprietà e non permetteva a nessuno di avvicinarsi.
    I pozzi divennero perciò sporchi e furono invasi dalla vegetazione.
    Un giorno giunse a Longwitton un cavaliere in cerca di avventure.
    - Qui c’è un drago spaventoso, signore, – gli dissero gli abitanti di Longwitton – e saremmo ben lieti se lei riuscisse a sbarazzarcene, ma è capace di diventare invisibile e non si riesce ad andargli abbastanza vicino da colpirlo.
    - Vi libererò io!- rispose il cavaliere. – Domattina darò battaglia al drago.
    Così il mattino dopo si passò sugli occhi un unguento magico che aveva avuto in dono durante i suoi viaggi e si diresse verso il bosco.
    Il drago giaceva addormentato accanto a uno dei pozzi, ma quando sentì il rumore degli zoccoli del cavallo rizzò subito le orecchie e sfoderò gli artigli. Poi, sicuro della propria invisibilità, si lanciò all’attacco.
    Il cavaliere lo aspettava, pronto. Il drago menò qualche colpo con le zampe e il cavaliere gli affondò la spada in un fianco. Il drago ruggì dal dolore e indietreggiò rapido, mettendosi a difesa dei pozzi, pronto ad attaccare di nuovo.
    Continuarono a combattere tutto il giorno ma, per quanto tremendi fossero i colpi inflitti dal cavaliere, il drago non per...

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    Last Post by mameli11 il 17 Nov. 2013
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  7. Uno gnomo in giardino dal web
    Leggenda olandese

    By marcel53 il 16 Nov. 2013
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    Nell'Olanda del Nord viveva un modesto mugnaio che lavorava da mattina a sera per soddisfare i bisogni della sua famiglia.
    Una volta, mentre era intento al lavoro, udì una vocina che chiedeva disperatamente aiuto. Il mugnaio si precipitò nella direzione da cui proveniva l'invocazione e, con grande stupore, vide un esserino simile a una bambola che stava per essere schiacciato dalla macina del mulino. Senza pensare ai danni che avrebbe potuto subire, immediatamente l'uomo allungò un braccio traendo in salvo la piccolissima creatura.
    Appena l'ebbe tra le mani, si accorse che si trattava di una gnoma. La minuscola donna lo guardò ancora tremante; il mugnaio l'accarezzò con la sua mano callosa delicatamente, quasi per paura di farle del male.
    La gnoma si tranquillizzò, gli sorrise e poi fuggì via, lasciando l'uomo col dubbio di aver sognato ogni cosa.
    Trascorsero solo pochi minuti quando ecco riapparire la gnoma, seguita da tanti ometti simili a lei. Il più anziano disse al mugnaio:
    - Hai salvato la vita a mia moglie perciò noi ti saremo grati per tutta la vita. Se ci permetterai di abitare nel tuo mulino non avrai mai a pentirtene.
    L'uomo, ancora sbalordito, riuscì solo a balbettare: - Ma... sì, certamente. Restate finché volete...
    Da quel giorno la famiglia degli gnomi stabilì la sua dimora in mezzo alle scure, tiepide travi del mulino a vento.
    Gli ometti stavano attenti che non scoppiassero incendi e avvertivano il loro amico del sopraggiungere di temporali o di bufere di neve; il mugnaio poteva legare così le pale del mulino ed evitare danni.
    Se qualcuno dei familiari del mugnaio si ammalava, lo gnomo portava erbe medicinali capaci di curare ogni malattia. A volte bastava che appoggiasse la sua piccola mano rugosa sulla fronte dell'ammalato perché questo guarisse immediatamente.
    Insomma andava tutto bene al mulino e anche a livello economico il mugnaio non aveva più alcun problema.
    Il suo benessere e la sua tranquillità suscitarono l'invidia di alcuni vicini, i quali misero in giro la voce che l'uomo si dedicava alla magia nera. C'era gente che non prestava orecchio a questi pettegolezzi, ma le chiacchiere comunque continuavano alienando molte simpatie al mugnaio e ai suoi familiari.
    Nella casa di uno dei vicini più gelosi e maldicenti abitava Lisa, una bambina di undici anni, con le trecce bionde come il grano. Era una ragazzina dolce e paziente; conosceva tutto sugli animali e sulle piante e riusciva a modellare l'argilla con rara abilità. Il suo animo gentile e la sua disponibilità verso gli altri rendevano difficile credere che fosse figlia di genitori così gretti e di mentalità tanto ottusa, ma purtroppo a volte capita.
    La graziosa ragazza aveva sentito tutte le storie che circolavano nel suo villaggio sul ...

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    Last Post by marcel53 il 16 Nov. 2013
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  8. Minosse e il Minotauro
    Mito di Teseo e Arianna - Il labirinto del Minotauro - Il Filo di Arianna

    By marcel53 il 16 Nov. 2013
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    In una splendida mattinata di luglio, nello stadio di Atene gremito di un pubblico fremente di curiosità e di passione per lo svolgimento dei giochi Panatenaici [giochi che si svolgevano ad Atene durante le feste Panatenee, celebrate d'estate in onore di Atena (Minerva)], ben sei volte erano stati levati in alto i colori dell'isola di Creta. Questo voleva dire che la vittoria aveva arriso ad un cretese. E questo cretese era sempre lo stesso: Androgeo figlio di Minosse, re dell'isola incantevole.
    La folla degli spettatori andava in delirio per tanta bravura, mentre gli atleti ateniesi erano lividi di furore e di rabbia. Lo straniero avrebbe portato via tutti i doni: quale vergogna per la loro città!
    Più furente di tutti era il sovrano di Atene che, accecato dalla rabbia e dall'umiliazione per la sconfitta subita dal suo regno, mise in atto un malvagio proposito: chiamata a sé una vecchia schiava persiana, le impartì a bassa voce un ordine.
    La donna si allontanò e di lì a poco, con una coppa ricolma, si introdusse nell'ambulacro dove gli atleti, dopo la fatica dei giochi, riposavano; si avvicinò ad Androgeo e gli offrì da bere dicendo:

    – Il mio signore, che tanto ti ammira, ti invita a brindare...
    Il giovane trionfatore, assetato, afferrò la coppa e bevve il contenuto d'un sorso. Ma aveva appena finito di inghiottire il liquido fresco e profumato che fu visto piegare il collo e abbattersi sul lettuccio, emettendo un gran respiro.
    Era morto. Gli altri atleti inorriditi compresero quanto era accaduto; un sentimento di pietà cedette il posto all'invidia e alla rabbia provata poc'anzi nei confronti dell'avversario. Il più generoso di essi coprì la salma con una clamide d'oro (corto mantello fermato con una fibbia su una spalla o sul petto, usato da Greci e da Romani).
    La folla commiserò la sorte del giovinetto, ma dopo un'ora non si ricordava più di lui.
    Non così reagirono gli dei, che avevano molto caro il giovinetto Androgeo. Si radunarono sull'Olimpo e decisero di punire duramente i colpevoli di tale delitto.
    Sulla città di Atene caddero frecce avvelenate che propagarono ogni sorta di malattie, mentre i venti, le nuvole, la pioggia distruggevano i campi coltivati. Gli Ateniesi si rivolsero all'oracolo e seppero che gli dei vendicavano l'uccisione di Androgeo. Se si voleva che il castigo finisse, bisognava venire a patti con Minosse, padre del giovinetto morto.
    Furono mandate ambascerie a Creta e la pace fu stipulata, ma a dolorosissime condizioni. Nell'isola di Minosse viveva il Minotauro, orrendo mostro che si cibava solo di carne umana: gli Ateniesi ogni anno, nel giorno della morte di Androgeo, avrebbero dovuto mandare a Creta sette giovanetti e sette giovanette fra i più belli dell'Attica perché fossero dati in pa...

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    Last Post by marcel53 il 16 Nov. 2013
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  9. COME SI " ARRICCHIVA" UN RACCONTO DAL WEB

    By marcel53 il 15 Nov. 2013
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    barline114

    Tanto tempo fa, i viandanti nelle pause del loro peregrinare, ricambiavano l'ospitalità che veniva loro offerta, raccontavano quello che avevano visto o sentito durante il lungo viaggio.
    La loro capacità era quella di saper arricchire con dettagli fantasiosi e inventati, le storie che avevano sentito in un altro lontano villaggio, così che un lupo che aveva attaccato un gregge di pecore, diventava un mostro mangiatore di persone, una tigre che si era strofinata su una pianta esotica conferendogli proprietà fosforescenti, diventava un essere dai poteri magici, o ancora, gli ultimi superstiti di animali preistorici, diventavano dei draghi sputa fuoco. E così che nacquero le leggende, e per dargli più credibilità le legarono a uomini le cui gesta erano già conosciute, accrescendo il loro mito. Se da un lato questi racconti potevano aumentare la paura verso l'ignoto di alcune persone, dall'altro stimolavano la fantasia di altri, che spinti dalla voglia di avventura, partivano in cerca di nuovi orizzonti. I progressi che l'uomo ha avuto in tutti i campi scientifici e artistici, sono tutti dovuti al mistero che, se da un lato incute paura, dall'altro incuriosisce e attira quelle persone temerarie che con il loro coraggio hanno contribuito ad accrescere la conoscenza.Sin dai tempi più antichi gli uomini hanno sentito l'esigenza di interrogarsi sul modo in cui poteva essersi formatol'universo, sulla nascita del genere umano e sulle cause dei fenomeni naturali che accompagnavano, ma spesso anche sconvolgevano, la loro vita. Non possedendo ancora gli strumenti del pensiero filosofico e scientifico, essi si affidarono alla fantasia, personificarono e divinizzarono le forze benigne e maligne da cui si sentivano circondati e diedero vita a un vasto patrimonio di storie, per loro sacre e veritiere, che sono giunte a noi attraverso le più svariate fonti letterarie e artistiche: poemi, inni, rappresentazioni teatrali, pitture, sculture, bassorilievi. Questi racconti terribili e meravigliosi, che narrano le origini dell'universo, degli uomini e degli dèi e hanno per protagonisti esseri soprannaturali, prendono il nome di miti, dal greco "múthos", che originariamente designava la «parola» e in particolare la «parola solenne e sacra di un dio».Il mito pertanto non è un racconto del tutto favoloso e inverosimile, come potrebbe apparire agli occhi di un uomo moderno, abituato a vivere in un mondo dominato dalla scienza e dal pensiero razionale, ma racchiude una sua «verità»,poiché è un modo di conoscenza e di appropriazione della realtà tipico delle società primitive, antiche e moderne. Infatti, anche se la mitologia greca (ovvero il complesso dei mit...

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    Last Post by marcel53 il 15 Nov. 2013
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  10. AVALON

    By mameli11 il 15 Nov. 2013
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    Avalon è un'isola leggendaria, facente parte del ciclo letterario legato al mito di Re Artù e anche in The Lost World, situata nella parte occidentale delle isole britanniche e nell'altro caso situata in Amazzonia, famosa per le sue belle mele, infatti il suo nome, letteralmente vorrebbe dire Isola delle Mele (anche se secondo alcune teorie, la parola Avalon potrebbe essere anche una traslitterazione inglese del termine celtico Annwyn, cioè il regno delle fate, o Neverworld).
    Il primo documento scritto che ci parla di Avalon dandole il significato di Isola delle Mele si trova nella Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth; questa è la traduzione più probabile, visto che in bretone e in cornico il termine usato per indicare mela è Aval, mentre in gallese è Afal, pronunciato aval. Inoltre il concetto di un'"isola dei beati", posta nell'estremo occidente (il luogo del tramonto) è presente anche altrove nella mitologia indoeuropea, in particolare nel Tír na nÓg e nel mito delle greche Esperidi (anche queste ultime famose per le loro mele).
    Secondo alcune leggende (cfr. il poeta Robert de Boron), Avalon sarebbe il luogo visitato da Gesù e da Giuseppe d'Arimatea e quello dove, proprio Giuseppe d'Arimatea, dopo aver raccolto il sangue di Cristo in una coppa di legno (il Sacro Graal), si rifugiò, fondando anche la prima chiesa della Britannia. Oggi l'isola di Avalon è normalmente associata alla cittadina di Glastonbury, in Inghilterra. Sarebbe anche il luogo in cui fu sepolto Re Artù, trasportato nell'isola su una barca guidata dalla sorellastra, la Fata Morgana. Secondo la leggenda, Artù riposa sull'isola, in attesa di tornare nel mondo quando questo ne sentirà nuovamente il bisogno.
    Per alcuni Avalon andrebbe identificata con Glastonbury. A partire dagli inizi dell'XI secolo, prese corpo la tradizione secondo cui Artù fu sepolto nella Glastonbury Tor, che in passato era circondata dall'acqua, proprio come un'isola. Durante il regno di Enrico II, secondo il cronista Giraldo Cambrense e altri, l'abate Enrico di Blois commissionò una ricerca, che, a una profondità di 5 metri, avrebbe portato alla luce un enorme tronco di quercia o una bara con un'iscrizione: "Qui giace sepolto l'inclito re Artù nell'isola di Avalon". I resti furono sotterrati di nuovo davanti all'altare maggiore, nell'abbazia di Glastonbury, con una grande cerimonia, a cui parteciparono anche re Edoardo I e la sua regina. Il luogo divenne meta di pellegrinaggio fino al periodo della Riforma protestante. Una vicina vallata porta il nome di Valle di Avalon. Comunque, la leggenda di Glastonbury è stata spesso considerata falsa.
    Secondo altre teorie,[senza f...

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    Last Post by mameli11 il 15 Nov. 2013
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